Autodeterminazione: crescere, scoprirsi e non avere paura di sbagliare

Autodeterminazione: crescere, scoprirsi e non avere paura di sbagliare

L’autodeterminazione dei popoli è un concetto piuttosto recente.

Fine della seconda Guerra Mondiale, i grandi leader, messi un po’ alle strette da un’opinione pubblica dilaniata dalla fame e dall’orrore, capiscono che qualcosa, in quel sistema malsano che ha portato a due scontri globali nell’arco di quarant’anni, andava cambiato. Comprendono quanto fosse importante il bene del singolo, in questo caso un singolo plurale, in quanto un popolo, nella logica della sovranità collettiva. Insomma, l’autodeterminazione dei popoli, oltre a essere per definizione Principio in base al quale i popoli hanno diritto di scegliere liberamente il proprio sistema di governo (autodeterminazione interna) e di essere liberi da ogni dominazione esterna, in particolare dal dominio coloniale (autodeterminazione esterna), è per lo più uno scudo di protezione da tutte quelle minacce che a gran voce chiedono a chi vive, pensa e celebra la vita in un maniera differente, di adeguarsi al bel pensiero della massa che numericamente li sovrasta.

Popolo. Libertà. Espressione. Tutte parole altisonanti che si sposano magnificamente con il senso di colpa prima e con la ricerca di una soluzione dopo. Il popolo però è formato da persone, persone che anch’esse hanno una serie di libertà personali, libertà di espressione – del proprio corpo ad esempio – che in quanto tali vanno protette e difese... vero?

Ecco, se con le definizioni altisonanti siamo, forse, più verso la retta via, per quanto riguarda il lato personale, quello intimo e intimistico, la strada, da sempre è molto più impervia. Parliamo quindi di autodeterminazione personale, quel sentimento conosciuto e sconosciuto ai più che permette di imporre il proprio IO sulle aspettative di chi ci circonda. Quel sentimento che concerne tutte le sfere della vita di ognuno, con l’amore e la carriera che spiccano fiere tra tutto.

La letteratura ci ha regalato dei capolavori narrandoci quanto sia difficile e provocatorio scegliere liberamente senza catene famigliari e sociali. Alcuni esempi sono Romeo e Giulietta, La Traviata, Aida (i mielomani saranno contenti di questi riferimenti). Perché non lasciare che due adolescenti vivano il loro primo amore senza interferenze? Perché devono pagare loro di faide vecchi di secoli? Perché vivere l’ingerenza invece che la passione? Perché, di fatto, chi evade e non ubbidisce, non è visto come qualcuno che si autodetermina, ma come un sovversivo.

Oppure, prendendo l’esempio de Il Fu Mattia Pascal: un uomo per ritrovare la felicità, per ritrovare se stesso, sfruttando a suo favore circostanze alquanto bizzarre, finisce per preferire la morte - apparente- piuttosto che ritrovarsi un giorno in più a vivere una vita che non gli appartiene più, in cui non è libero.

Sbaglia di certo - Adriano Meis non è esente all’errore - ma lo fa alle sue condizioni. Vivere alle proprie condizioni, nonostante i sacrifici, nonostante la fatica, è - se vogliamo - il grande tema del mondo letterario. Gli artisti si sa, sono meno proni a lasciare che il fuoco sacro del talento, venga schiacciato da convenzioni sociali cui unico scopo è quello di ingabbiare nel pensiero di uno la volontà di un altro. Solo dopo, una volta arrivati alla celebrità e al riconoscimento nazionale e/o internazionale si coglie nelle loro travagliate biografie quella determinazione che ispira, che motiva, ma che -se letta con più attenzione e con più empatia- nasconde nel suo fulcro delle storie dell’orrore, fatte di rinunce, di povertà, di abbandono e di esclusione. A posteriori è più difficile indignarsi ai patimenti sofferti, molto più facile fare della sofferenza il modus operandi con cui un artista arriva al successo.

Ultimamente, però, l’aria sembra cambiare: la democratizzazione del mezzo culturale ha portato anche ad un cambiamento in termini di libertà personale; tra una generazione ed un’altra avviene un ammorbidimento naturale: i nostri figli di certo soffriranno meno le imposizioni legate alla carriera (sicuramente meno di un La Fontaine o un Flaubert, diseredati ed allontanati per non aver seguito la professione famigliare, che poi è sempre avvocatura, inspiegabilmente) anche perché è nostro interesse impedire loro di rivivere lo stesso calvario che hanno vissuto le generazioni precedenti; i social, poi, danno anche l’impressione che tutti, con la tempistica giusta, possano arrivare dove si desidera, creare una community, aver qualcosa da condividere e da raccontare.

Abbiamo di certo altre preoccupazioni, impellenti e spaventose, ma la sensazione generalizzata è che quell’autodeterminazione, quell’IO sia molto più protetto, in tutti i campi. Abbiamo il coraggio di dire che ameremo chi avremo voglia di amare; che saremo chi avremo voglia di essere, che faremo quello che avremo voglia di fare perché il tempo è breve e le occasioni molte. E se si sbaglia, ben venga, evviva il fallimento, ci saranno altre occasioni. Che il mondo ci faccia da testimone. Ci sarebbe da chiederci cosa ne sarebbe oggi di Romeo e di Giulietta, di Mattia Pascal, di cosa e sarebbe della loro sofferenza, della violenza delle loro scelte. Sarebbe da rivedere i loro esempi in un’ottica meno severa e più aperta al dialogo.

Sarebbe da immergerli nel nostro presente per capire se davvero, e non per propaganda, sarebbero tutti più liberi di essere chi decidono di essere. 

Libri Another Coffee Stories consigliati:

Gli uffici delle Tenebre - Ernesto Erre

E' Tutto Perfetto - Rudy Pesenti

Il primo treno verso sud - Daniele Di Girolamo

 

 

 

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1 commento

Bellissima riflessione. La cultura dell’obbedienza ha portato non pochi danni alla nostra società. Intere generazioni erano abituate ad agire deresponsabilizzandosi, perché spinte ad eseguire solo un ordine e si sentivano tranquilli con la coscienza per il semplice fatto di aver rispettato una regola. Non c’era spazio per il libero pensiero. Era impensabile ribellarsi e dire NO. Anche se la strada da fare è ancora tanta, oggi le cose stanno cambiando, in un piccola parte migliorando. Mi viene da riflettere sul fatto che, al di là delle costruzioni sociali in cui siamo immersi, spesso ci ingabbiamo anche in noi stessi, creandoci da soli dei limiti. Ecco, che il concetto di autodeterminazione e libertà diventa davvero complesso. I social sono solo un’illusione di libertà. Gli algoritmi e le immagini pubbliche inevitabilmente ci controllano.
Il lavoro più arduo è liberarsi di tutto quello che sentono gli altri e amplificare solo quello che sentiamo noi. Forse quella è libertà .

Ivana Ferriol

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