In onore del Ponte che in Italia chiamiamo dei morti, festività dal sapore antico che comincia con la notte tra il 31 Ottobre e Ognissanti, ci sembrava interessante indagare un argomento delicato ma necessario: il lutto a livello letterario. La difficoltà nel trattare l’argomento sta di certo nella selezione dell’immensa bibliografia in merito; oltre alla storia d’amore e al viaggio dell’eroe – per citarne qualcuno -, la morte e la continuazione della vita dopo la morte sono forse i topos più sfruttati sia sull’arco del tempo che su quello delle nazionalità, anche se – pur semplificando - il trofeo di letteratura che più indaga l’argomento va di certo a quella russa.
Ma la domanda che ci si potrebbe porre pensando alla carta stampata e al lutto è perché un personaggio che muore ma che, di fatto, non esiste, abbia un impatto spesso e volentieri devastante sui lettori. Il tempo di lettura e la vita del personaggio è spesse volte sproporzionato, eppure l’attaccamento emotivo alla finzione letteraria ci spinge a provare sentimenti di perdita inscrivibili nella nostra cerchia di affetti più cara.
Queste emozioni sono forti ma non inspiegabili: è ormai da un decennio che la teoria della letteratura e la critica letteraria si stanno concentrando sull’ibridazione con le neuroscienze, per tentare di dare una spiegazione fisica e biologica ai movimenti empatici che legano a doppio filo personaggio e lettore, in un infinito movimento emozionale che finisce per rendere la finzione – biologicamente – realtà.
È stato provato, infatti, che durante la lettura si stimolino le parti del nostro cervello legate alla conversazione, nonostante la lettura sia silenziosa e non preveda l’utilizzo della parola, al sentimento amoroso, con veri e propri stati di innamoramento e, soprattutto, al lutto, nonostante il tempo reale di conoscenza sia estremamente limitato.
L’attaccamento viscerale ai personaggi ben scritti e ben caratterizzati è paragonabile all’innamoramento dei primi mesi: biologicamente il nostro cervello stimola i neuroni a specchio (adibiti all’attivazione emozionale) anche se, formalmente, la storia si delinea solo nel mondo possibile creato dall’autore. La risposta empatica, quindi, è ciò che ci permette di far scivolare una lacrima o più alla morte finzionale di personaggi che il nostro cervello percepisce come reali.
Le fasi del lutto, poi, rimangono invariate: negazione, rabbia, contrattazione, depressione e accettazione, il tutto nel tempo breve e limitato della lettura. Chi è che non ha mai dolorosamente abbandonato un libro dopo la scomparsa di uno dei personaggi? Chi non ha mai provato dolore, quello lancinante che attanaglia lo stomaco? Chi non si è mai sentito privato di una parte di sé dopo la dipartita - sorprendente o meno - del proprio personaggio preferito?
Io ancora ricordo vividamente quando, all’età di otto anni, mi sono imbattuta per la prima volta nel dolore della perdita: stavo leggendo ERAGON, libro fantasy eccezionale che penso abbia il valore aggiunto di avermi avvicinato definitivamente alla lettura, ma che ha creato in me sicuramente il trauma di scoprire, in così tenera età, che non sempre i buoni hanno il loro lieto fine. Sebbene io ora apprezzi la totale mimesi della realtà, in cui non sempre tutto scorre placidamente e senza intoppi, ricordo che la me bambina decise di mantenere il lutto per un settimana intera. Il melodramma che accompagna la giovane vita di un’amante dei libri cominciava già a manifestarsi, con una certa dose di orgoglio, anche. Ancora sento sulla pelle il sentimento di terribile tragedia che ha accompagnato quei momenti: uno strappo brutale e reale, nella misura in cui anch’io facevo parte del mondo possibile creato da Paolini. Vivevo anch’io a fianco di Eragon, Brom e Saphira. E con loro ho sofferto e pianto. Disperata, poi, con la morte nel cuore, ho continuato la lettura, velocizzandola il più possibile perché desideravo finisse in fretta la tortura del non leggere più, di non vedere più, il mio personaggio preferito.
La coscienza del dolore che si causa ai propri lettori non è sempre affare dello scrittore: se scrivere significa esplicitare a proprio modo sfaccettature della realtà, ometterne la morte sarebbe, di fatto, non renderle giustizia.
Ovviamente, vi sono diversi modi di affrontare l’argomento: ci sono scrittori che indugiano, chi ne fa il proprio cavallo di battaglia, chi si macchia di un vero e proprio genocidio (sì, parlo proprio di George RR Martin) e chi addirittura viene accusato di produrre “pornografia del dolore”, come Hana Yanaginara e il suo Una vita come tante. Per quanto, però, lo scrittore abbia il potere di controllare la sua storia, la risposta al lutto rimarrà sempre la stessa e, se è vero che i traumi sono indelebili, di conseguenza è anche vero che i libri che trattano della perdita sono anche quelli che i lettori ricorderanno più intensamente.
Libro Another Coffee Stories consigliato: L'inesorabile caducità dei Fiori - Edith Maria Frattesi
1 commento
Ho letto l’articolo e non solo mi sono riconosciuta tra le righe ma ho trovato una spiegazione a così tante domande che mi sono posta come lettrice negli anni. Perché quando uno dei personaggi di cui mi innamoravo ed in cui mi identificavo periva, stritolato dalla trama e dalla struttura dell’opera, anche una parte di me si sgretolava e scheggiava. L’accuratezza con cui nell’articolo viene spiegato il meccanismo di quell’immedesimazione che causa tutto quel dolore è stato per me illuminante! L’approccio scientifico delle neuro scienze mi ha confortato lo confesso.
Mi sono sempre sentita sopraffatta dal mio empatizzare con i personaggi mentre avrei voluto mantenere una capacità di lettura razionale e distaccata. Credendo che questo mi avrebbe resa più oggettiva nella valutazione poi dell’opera e meno vittima delle emozioni che ne derivano.
In realtà il piacere della lettura in parte sta anche in questo fondersi con le pagine che scorriamo, nella capacità di diventare parte viva della storia in cui ci si immerge. Questo articolo fa luce su uno degli aspetti più complessi del rapporto lettore/libro/trama/personaggi. Questo non mi impedirà sicuramente di continuare a piangere ogni volta che rileggo il Cirano e a sentire il mio cuore incrinarsi ogni volta che Cirano pronuncia le sue ultime battute e in piedi verso la luna muore. Ma ho una chiave di interpretazione del perché scatta questo complesso coinvolgimento. I personaggi dei libri che amiamo incarnano ciò che ci muove nella vita, quelle passioni quelle capacità a cui guardiamo e a cui ci ispiriamo. Ed è inevitabile esserne coinvolti. Ma non esserne sopraffatti ed imparare ad elaborare il lutto della perdita serve sicuramente ad addolcirne il colpo. Un sincero grazie all’autrice. Lettura illuminante.