In Tutto quello che resta un labirinto di “triangoli” permea i rapporti tra gli abitanti di un piccolo paese di campagna. I triangoli più importanti sono:
- Egidio, Clara ed Elisa;
- Elisa, Giovanna e Diana.
Facciamo un passo indietro e, a livello teorico, parliamo del concetto di “triangolo”. Da quando Salvador Minuchin ha elaborato la “terapia familiare”, il “triangolo” viene considerato l’elemento di base per l’analisi delle relazioni familiari. Prima, invece, si utilizzava il concetto della “diade” madre-figlio. Il “triangolo” è, per Minuchin, la forma del percorso emotivo realizzato dalle tre persone che lo costituiscono.
L’analisi del primo “triangolo” principale, ovvero quello tra Egidio, Clara ed Elisa, ci porta a notare come la loro relazione sia del tutto disfunzionale. Questo si può evincere dall’evidenza di una relazione fissa di “up e down” tra le figure genitoriali, dove la superiorità di Egidio su Clara è assoluta. Questo richiama lo schema patologico che la Scuola di Palo Alto definirebbe di “complementarietà rigida”, dove il rapporto è fisso e senza alcuna possibilità di simmetria. Questo tipo di rapporto tra i personaggi è riscontrabile ovunque nel testo ed è addirittura, secondo Giovanna, uno dei fattori della malattia della protagonista.
“«Come mai vedere questa casa un effetto così brutto?» chiese Diana «Questa casa era piena di energia negativa. Non l’ho mai detto a nessuno, ma penso che Elisa si sia ammalata anche per questo».”
Il secondo “triangolo” principale, ovvero quello tra Elisa, Cesare e Diana, è “quasi invisibile”. Lo definirei così perché, sebbene non sia facilmente individuabile, è impregnato di vitalità. Il rapporto tra i tre personaggi si sviluppa nel corso del racconto, grazie alla foto dei due genitori e alle parole della zia Giovanna. Nonostante questo secondo “triangolo” sia meno evidente, è quello più profondo, anche perché in grado di sconvolgere l’animo di Diana, che si sente attanagliata da una sensazione di vuoto. A questo punto è importante introdurre il concetto di “separazione per annullamento”.
“Quando la separazione è per annullamento, l’altro e il rapporto con l’altro vengono cancellati. Compare il vuoto interno che non è passività. È il risultato di un’attività. È il risultato della pulsione di annullamento. La separazione allora è senza affetti. È come se non fosse accaduto nulla. Ma in realtà dentro c’è il vuoto. Si è un po’ meno umani di prima.”
Questa citazione dello psichiatra romano Massimo Fagioli calza perfettamente con la situazione di Giovanna. L’“annullamento”, in questo caso, consiste nella “sparizione” dei genitori operata dalla volontà di Diana. È questa la causa del malessere della ragazza, “Un sentimento subdolo che si insinuava nei meandri della coscienza e dell’essere.”
Per questo si può ritenere che il monito dell’autrice sia che le separazioni, definitive o temporanee, vanno realizzate con affettività. Del rapporto vissuto si deve conservare una memoria, non importa se positiva o negativa, purché sia vivida. Se questo non accade, si può perdere l’essenza distintiva dell’essere umano: l’affettività. Certo, l’affettività perduta può essere recuperata, insieme alla propria realtà interiore, di cui ci si è privati o di cui si è stati privati. Proprio questo è ciò che accade, infine, a Elisa:
“Ora che il vaso di Pandora era stato aperto capì che ciò che contava di più era il passaggio su questa terra, così radicato ed ineluttabile, e tutto quello che restava delle persone, della loro storia e del loro impatto su ogni esistenza che avevano sfiorato, sia fisicamente che spiritualmente.”
1 commento
È il secondo libro che leggo di quest’autrice e non ne sono rimasta delusa. Tutte le sue storie sono sconvolgenti e insegnano tanto.
Quando inizi a leggere questo libro, non riesci più a fermarti. Lo consiglio a tutti.